Bandire lo shampoo dalle nostre sale da bagno. E’ questo quello che si prefigge il movimento “No Poo” che mette sotto accusa i numerosi prodotti chimici contenuti nei nostri shampoo e propone come via alternativa quello di eliminarli dalla nostra routine.
Cosa è il movimento No Poo
Il movimento No Poo ha preso piede negli ultimi anni negli negli Stati Uniti e fa adepti anche nel resto del mondo. Tra i suoi sostenitori vi sono molte star tra le quali spicca a quanto pare anche il nome di Brad Pitt. Secondo i suoi fautori bisogna eliminare dalle nostre sale da bagno lo shampoo. Quest’ultimo sarebbe infatti colpevole di rimuovere gli oli naturali, ovvero il sebo, che il cuoio capelluto produce naturalmente, innescando un circolo vizioso. Il cuoio capelluto, infatti, una volta rimosso il sebo, per compensare reagirebbe producendone di più, facendo ingrassare ancora di più i capelli, sporcandoli e rendendo così necessario il lavaggio e il ricorso allo shampoo.
Non lavare i capelli con lo shampoo, invece, porterebbe ad una regolarizzazione della produzione di sebo. A supporto di ciò sul sito dedicato al metodo sono anche addotte motivazioni storiche. Prima lo shampoo non si usava. Lo shampoo come lo conosciamo è una invenzione recente, i primi shampoo sintetici sono stati prodotti negli anni ’30, L’uso dello shampoo avrebbe poi preso piede come abitudine solo negli anni 70.
A supporto della tesi sui vantaggi del non uso dello shampoo nella pagina Wikipedia che parla del movimento viene anche citata una ricerca scientifica sovietica inserita nel libro “Packing for Mars” che affermerebbe che la pelle smetterebbe di produrre sebo dopo un periodo che va da 5 a 7 giorni senza fare il bagno. Ma oltre allo studio sovietico non ci sarebbero altre prove scientifiche di supporto.
Co-washing e i vari metodi alternativi allo shampoo
I puristi del movimento utilizzano solo l’acqua ma in molti utilizzano alternative come il bicarbonato, l’aceto di mele, olio di cocco. La blogger inglese Lucy Aitken, ha deciso di utilizzare il metodo non solo su di se ma anche sulle sue figlie, come racconta nel suo libro “Happy Hair – The definitive guide to giving up shampoo”. A causa delle sostanze nocive che ci sarebbero negli shampoo ha deciso di lavare i capelli della prole con una miscela di uova e aceto.
Il bicarbonato è uno dei metodi alternativi utilizzati dai sostenitori del metodo No Poo
Non tutti sono così radicali. Alcuni adottano il metodo Low Poo ammettendo nella loro routine lo shampoo solo ogni tanto (circa una volta al mese).
Un’altra tendenza attualmente in corso è quella del Co-washing. Il Co-washing, da conditioner-washing, può essere fatto in qualche modo rientrare nel metodo No Poo anche se è cosa ben diversa pur bandendo anch’esso l’utilizzo dello shampoo. Ideatrice di questo metodo è Lorraine Massay, famosa parrucchiera newyorkese autrice del libro “Curly Hair – The Handbook”. Già il titolo del libro fa ben comprendere che questo metodo non è indicato per tutti i tipi di capelli, bensì pensato per i capelli ricci o crespi. Anche questo metodo mette al bando gli shampoo accusati di essere pieni sostanze chimiche potenzialmente dannose. La Massay propone il lavaggio dei capelli solo con il balsamo, un prodotto che contiene meno tensioattivi dello shampoo ma in misura sufficiente a garantire la pulizia del capello.
Le motivazioni del No Poo e i dubbi sui componenti chimici
Uno dei problemi sollevati dai sostenitori del metodo No Poo, è quello delle delle sostanze nocive che sarebbero contenute all’interno degli shampoo. Tra questi alcuni ingredienti come il Sodium laureth sulfate, tensioattivo considerato aggressivo che rimuoverebbe lo sporco ma danneggerebbe il follicolo.
A sostenere la tesi, sempre secondo quanto riportato sulla pagina Wikipedia dedicata al metodo, ci sarebbe anche una ricerca dell’Environmental Working Group che spulciando tra gli ingredienti di 42mila prodotti per la cura personale ha scoperto che la maggior parte degli shampoo hanno almeno un prodotto chimico che solleva preoccupazione. Sulla pagina è anche però precisato che gli operatori del settore confermano che le concentrazioni usate di tali sostanze sono considerate sicure per la salute umana. In ultimo i pro No Poo aggiungono un altra motivazione di tipo ecologica: gli imballaggi degli shampoo, in genere di plastica, producono inquinamento. Non usare lo shampoo elimina il problema.
I dubbi sul metodo No Poo
Sul metodo No Poo sono stati espressi molti dubbi da parte di vari dermatologi sia stranieri che italiani. In rete si possono trovare vari articoli a riguardo. Secondo questi ultimi non lavare bene il cuoio capelluto comporta dei rischi. Tra questi la possibile comparsa di funghi, microbi, possibile desquamazione e forfora. La sola acqua infatti non è sufficiente a rimuovere il sebo in eccesso. Quest’ultimo, infatti, restando troppo sul cuoio capelluto ristagna nel follicolo provocando danni. A questo proposito, si è anche espressa l’Associazione spagnola di dermatologia che avverte, a chiare lettere, che sostituire lo shampoo, con sola acqua o con bicarbonato e aceto, è pericoloso. In particolare, sull’uso del bicarbonato come sostituto, l’associazione spagnola avverte che il suo utilizzo, avendo esso un PH più alcalino di quello del cuoio capelluto, può causare pruriti, irritazioni e, alla lunga, anche decolorazione dei capelli.
Cosa penso di questo metodo?
Spero di seguito di rispondere in parte alla domanda di Ludovica, una lettrice che ha ispirato questo post.
Sull’affermazione “lo shampoo prima non esisteva”
La motivazione storica del “i nostri avi non usavano lo shampoo” non fa per me. Non credo che la salute o l’igiene dei nostri avi fosse migliore della nostra. Sicuramente il nostro modo di vivere fa porre giusti interrogativi e porta a volte a pensare che prima si vivesse meglio. Ma il bel mondo dorato del passato a volte non esiste, come spesso mi conferma mia nonna novantenne che di povertà ne sa qualcosa e ben apprezza l’acqua corrente, il bagno in casa e le moderne abitudini igieniche.
Sulla produzione di sebo da parte del cuoio capelluto
Avendo un cuoio capelluto tendenzialmente grasso non posso non prestare particolare attenzione all’allarme dei dermatologi sui rischi di questo metodo proprio sulla salute del cuoio capelluto. Ci sono testimonianze di persone che seguono questo metodo da anni e non accusano problemi. Ma ognuno di noi ha un cuoio capelluto differente e in generale non credo sia saggio ignorare gli allarmi lanciati dagli esperti del settore.
![Sezione del cuoio capelluto. Photo: Henry Vandyke Carter [Public domain], via Wikimedia Commons](https://lipstickpost.com/wp-content/uploads/2016/08/Gray1196.jpg)
Sulla questione dei componenti potenzialmente pericolosi
Prima di affrontare la questione dei componenti pericolosi contenuti negli shampoo faccio una premessa. Non amo le battaglie contro le sostanze e le campagne accusatorie fatte di click facili. Credo che tutti abbiamo ben presente le campagne contro l’olio di palma. A mio avviso qualsiasi discussione sulla pericolosità o meno delle sostanze va argomentata come qui e qui ad esempio dalla giornalista scientifica Alice Pace.
Questo per dire che, pur apprezzando l’attenzione posta dal movimento No Poo sulla possibile pericolosità di alcune sostanze contenute nei nostri shampoo, prima di incriminare occorrono argomentazioni valide e prove scientifiche. Resta il fatto che l’avanzare di questo movimento abbia fatto porre a molti consumatori delle domande e li abbia resi più consapevoli. Personalmente non credo che gli shampoo siano il male e non credo che le aziende produttrici abbiano interesse a mettere sul mercato prodotti dannosi. L’Unione Europea impone che se un prodotto viene immesso sul mercato “deve essere sicuro per la salute umana se utilizzato in condizioni d’uso normali o ragionevolmente prevedibili”. (Regolamento (CE) n. 1223/2009 sui prodotti cosmetici). Lo spazio europeo è uno dei più controllati al mondo in fatto di cosmetici. Sul nostro mercato sono più di 1300 le sostanze vietate e considerate rischiose per la salute. Basta dare un’occhiata all’enorme database messo a disposizione dall’Unione europea dove possiamo anche controllare gli ingredienti contenuti nei nostri prodotti (Database degli ingredienti).
Purtroppo l’occhio vigile del consumatore, di enti e associazioni è sempre necessario in quanto la messa sul mercato di prodotti cosmetici non è subordinata ad autorizzazioni e tutte le normative hanno dei limiti. La normativa europea, in soldoni, impone alla “persona responsabile”, ovvero alla stessa azienda produttrice, di garantire l’osservanza della legge. Le autorità competenti devono poi vigilare. A volte possono esserci interessi in gioco che potrebbero andare scapito del consumatore e su alcuni ingredienti c’è ancora da fare chiarezza. Ma l’Europa è stata in grado di fare passi avanti anche sui molto discussi parabeni, ingredienti che garantiscono la sicurezza dei cosmetici, ma che possono provocare anche allergie e influire sul sistema ormonale.
In pratica il mercato europeo garantisce un certa tranquillità sui nostri shampoo come dimostra anche un test condotto dalla rivista “Il Salvagente” che trovate qui. Usare uno shampoo magari acquistato anche con un occhio attento alla composizione, non fa correre insomma chissà quali rischi.
Sull’inquinamento causato dagli imballaggi
Concordo sul fatto che sia un problema serio e che occorra far qualcosa. Ma la questione non riguarda solo lo shampoo e i cosmetici.
Sull’utilizzo di prodotti alternativi
Sull’utilizzo di prodotti che abbiamo in cucina per altri scopi mi sono già espressa qui. Propongo però la lettura di un illuminante articolo trovato su Cacaonline sugli utilizzi sbagliati del bicarbonato e quello di un altro articolo, trovato su un interessante sito che si occupa di cosmesi, che parla anche della follia di qualcuno di proporre il Vernel (ebbene si l’ammorbidente per il bucato) al posto dello shampoo. In sintesi, giocare al piccolo chimico per me rimane un gioco rischioso che sconsiglio di fare.